
Paolo Abelli – Invenzioni di Cattedrali
Tra memoria, visione e vertigine dello spazio
All’interno della Galleria Giannoni di Novara, l’architetto e artista Paolo Abelli ci invita a varcare soglie interiori e architettoniche, conducendoci attraverso un labirinto di strutture impossibili, impalcature sospese, scale che non portano a nulla e arcate che sembrano cantieri eterni del pensiero. Le sue “Invenzioni di Cattedrali” non sono luoghi reali, ma paesaggi mentali: edifici senza tempo, in cui si fondono il culto del sacro, la tensione progettuale e la metafora della società contemporanea come cantiere incompiuto.
Nel solco della tradizione visionaria di Piranesi, ma con uno sguardo che si fa sorprendentemente attuale, Abelli esplora l’architettura non come struttura compiuta, bensì come processo. Le sue cattedrali sono ossessioni grafiche, spazi stratificati dove lo sguardo si smarrisce, costretto a salire e scendere, a cercare vie di fuga che sfuggono alla logica euclidea.

In questo viaggio attraverso i volumi e le ombre, si coglie una parentela profonda con l’opera di M.C. Escher: entrambi gli artisti sono cartografi dell’illusione, architetti dell’inverosimile, capaci di sospendere le leggi della fisica per esplorare i paradossi della percezione e dell’esistenza. Come nei mondi impossibili di Escher, anche nelle “Invenzioni” di Abelli il tempo e lo spazio si annodano, e la funzione cede il passo al simbolo. Le scale sembrano rincorrersi all’infinito, i ponti conducono a luoghi che si dissolvono nella luce, i vuoti diventano pieni e viceversa.

Queste cattedrali in divenire non sono solo omaggi alla storia dell’architettura – da quella gotica a quella industriale – ma sono anche riflessioni poetiche sulla condizione umana: vivere dentro strutture che si costruiscono mentre si abitano, dove le intenzioni si contraddicono e le fondamenta sembrano fatte di pensieri in bilico.

In un tempo in cui le certezze crollano e le forme sociali mutano, l’arte di Paolo Abelli recupera il linguaggio dell’architettura per proporre un altro modo di pensare il presente: non più come edificio compiuto, ma come struttura aperta, in tensione, che interroga continuamente il nostro bisogno di ordine, bellezza e senso.
Marco Mattiuzzi
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