Nell’immaginario collettivo, “Il Signore delle Mosche” di William Golding è un inquietante ritratto della natura umana e del precipitare dell’innocenza nell’oscurità. La crudezza dell’opera, simbolismo profondo e la sua aspra denuncia del mito dell’innocenza infantile la rendono una pietra miliare della letteratura del XX secolo.
Golding presenta un gruppo di ragazzi naufragati su un’isola deserta, una cornice apparentemente idilliaca che rapidamente si trasforma in un teatro di brutale autodistruzione. La progressiva decadenza morale del gruppo, sotto la crescente influenza di un’entità sinistra chiamata “Il Signore delle Mosche”, evoca la tensione tra la civilizzazione e il caos, l’ordine e la bestialità. Questa tensione è sottolineata dallo stesso titolo, un’eco di Beelzebub, una figura biblica spesso associata al diavolo e alla corruzione.
Lo splendido film del 1963, diretto da Peter Brook, segue fedelmente il romanzo, pur con alcune divergenze stilistiche e interpretative. La pellicola, in bianco e nero, accentua la dicotomia tra luce e ombra, bene e male, attraverso una fotografia incisiva. Le espressioni dei giovani attori sono viscerali, rendendo palpabile l’angoscia e il tormento psicologico dei personaggi. Tuttavia, mentre il romanzo permette una riflessione interna e profonda, il film tende a esporre la depravazione in modo più esplicito, rendendo l’esperienza visiva a tratti disturbante.
L’accostamento della mosca nella pittura introduce una dimensione ancora più complessa. Tradizionalmente, nella pittura, la mosca rappresenta la transitorietà della vita, la mortalità e la decadenza. Si può vedere, ad esempio, nelle nature morte del XVII secolo, dove piccole mosche si posano su frutti in decomposizione o su fiori appassiti, simboleggiando l’effimero splendore della vita. Questa interpretazione può essere applicata anche al romanzo di Golding: l’isola, inizialmente vista come un paradiso, si decompone gradualmente sotto l’influenza delle mosche, ossia delle bassezze umane.
In conclusione, “Il Signore delle Mosche” è più di un semplice racconto di avventura o un’analisi sociologica dell’infanzia. È un profondo esame della condizione umana, esplorando come le fragilità e le debolezze possono emergere anche nelle circostanze più innocue. Sia nel romanzo che nel film, e ancor di più quando si considera la ricca tappezzeria simbolica della mosca nella pittura, emerge un’oscura riflessione sulla natura transitoria della vita e sulla lotta eterna tra civilizzazione e barbarie.